Dietro le mura
GIANFRANCO BARUCHELLO – ELISABETTA BENASSI – ROSSELLA BISCOTTI – MOHAMED BOUROUISSA – CHEN CHIEH-JEN – HARUN FAROCKI – CLAIRE FONTAINE – GÜLSÜN KARAMUSTAFA – H.H. LIM – BERNA REALE – SHEN RUIJUN – ZHANG YUE
La figura del carcere è entrata nell’iconografia dell’arte contemporanea secondo una molteplicità di direttrici: sociale, politica, esistenziale, simbolica. Dietro le mura della prigione l’arte è arrivata in maniera diretta attraverso un’esperienza personale di reclusione dell’artista, come nel caso di Gülsün Karamustafa, detenuta in Turchia negli anni Settanta e, più recentemente, di Zhang Yue in Cina. Se in questi casi è prevalsa la dimensione cronachistica legata alla vita quotidiana, in altri episodi gli artisti hanno adottato un’ottica storica, concentrandosi su episodi emblematici come il carcere di Santo Stefano, fra i primi esempi di applicazione del modello del Panopticon (nel caso di Rossella Biscotti) o la figura dell’attivista americana Angela Davis, che ha combattuto una battaglia per l’abolizione della galera (cui è dedicato il lavoro di Elisabetta Benassi); la prigione viene assunta come riflesso della storia del proprio paese nel lavoro di Chen Chieh-Jen, nato dai ricordi personali dell’infanzia a Taiwan. Il sottotesto politico di sensibilizzazione nei confronti dei diritti umani si fa esplicito nell’azione di Berna Reale, che porta la luce della torcia olimpica all’interno delle carceri brasiliane. Il regime visivo che governa lo spazio della detenzione è al centro dell’analisi di Harun Farocki che, attraverso le videocamere di sorveglianza della prigione di massima sicurezza a Corcoran (California), esplora il complesso intreccio fra sguardo, potere e tecnologia. Il tempo è invece la dimensione indagata da Gianfranco Baruchello, attraverso interviste ai detenuti di Rebibbia e Civitavecchia. Lo stesso tempo morto ritorna nel lavoro di Mohamed Bourouissa, nato dalla collaborazione clandestina con un detenuto attraverso un telefono cellulare. All’adesione al dato reale si contrappone la trasfigurazione lirica dell’universo penitenziario nella pittura di Shen Ruijun e il valore metaforico esplorato da H.H. Lim, che richiama la gabbia mentale di auto-sorveglianza in cui ognuno di noi è imprigionato. La stessa apertura semantica è pronunciata dalla scritta al neon di Claire Fontaine, che evoca spazi disciplinari dischiudendo dimensioni ulteriori.
Galleria 5
a cura di Hou Hanru, Luigia Lonardelli
Oggi che la comunicazione globale vuol dire anche controllo globale, che in nome della “guerra al terrore” post 11 settembre vengono applicati metodi disciplinari alle comunità, che la condivisione figlia di internet e dei social network smantella la nostra privacy, la parola prigione assume significati decisamente nuovi.
26 artisti e oltre 50 opere raccontano il carcere come metafora del mondo contemporaneo e il mondo contemporaneo come metafora del carcere: tecnologico, iperconnesso, condiviso e sempre più controllato
Lo sviluppo esponenziale delle tecnologie digitali, l’avvento dei social network, l’utilizzo dei Big Data, hanno progressivamente e inesorabilmente cambiato la nostra società che assiste al crollo delle filosofie di condivisione sociale e urbana e all’instaurarsi di un nuovo regime che, in nome della sicurezza, ci spoglia, con il nostro consenso, di ogni spazio intimo e personale.
L’opera Temps Mort di Mohamed Bourouissa è visibile ogni sabato dalle 15.00 alle 19.00
Dietro le mura
Fuori le mura
Oltre i muri
Cataloghi della mostra
Catalogo della mostra 2017
Please come back. Il mondo come prigione?