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mercoledì 10 Giugno 2020 - domenica 14 Giugno 2020

MAXXI per Black Lives Matter.Against Racism

«Il MAXXI non si è mai piegato di fronte alle difficoltà, ma questa volta ci inginocchiamo, per i nostri fratelli e sorelle, per rialzarci insieme, per sempre». Hou Hanru, Direttore Artistico MAXXI

Il MAXXI sostiene la cultura a favore dell’inclusione e dell’uguaglianza, soprattutto in un momento storico così difficile per tutti.

Il feed della pagina Instagram del MAXXI diventa mezzo per una comunicazione sulla consapevolezza e la coscienza del movimento Black Lives Matter.

E lo fa attraverso l’arte, attraverso la storia delle sue mostre, con le parole e le immagini degli artisti, che mettono al centro del loro messaggio la speranza, la denuncia, la realtà di un problema globale che non può più essere ignorato.


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KENDELL GEERS
T. W. Batons (Circle), 1994

22 manganelli Collezione MAXXI Arte Donazione Claudia Gian Ferrari

Croci, manette, oggetti di scarto trovati per strada come buste di plastica, armi e frammenti di bottiglie rotte, i materiali scelti dall’artista, sono chiari riferimenti a tensioni religiose, politiche o sociali. T.W. Batons (Circle) è una scultura di manganelli disposti a raggiera in cui l’essenzialità della forma geometrica circolare contrasta la brutalità delle armi. Il posizionamento dei manganelli in maniera circolare conferisce una sorta di “esteticizzazione” della violenza, attribuendo all’opera ironia e umorismo. Concepito durante le sommosse politiche precedenti le elezioni sudafricane del 1994, il lavoro fa riferimento ai metodi di repressione utilizzati dalla polizia e agli abusi autorizzati dal governo locale che, in quell’occasione, causarono migliaia di morti. Durante le elezioni sudafricane del 1994, le prime aperte a tutta la popolazione, Nelson Mandela divenne il primo presidente nero della storia del paese. Diretta e priva di filtri l’opera colpisce per la sua violenza e determina nello spettatore un iniziale disagio, una sensazione di pericolo e destabilizzazione. Foto © Musacchio & Ianniello22 manganelli Collezione MAXXI Arte Donazione Claudia Gian Ferrari Croci, manette, oggetti di scarto trovati per strada come buste di plastica, armi e frammenti di bottiglie rotte, i materiali scelti dall’artista, sono chiari riferimenti a tensioni religiose, politiche o sociali. T.W. Batons (Circle) è una scultura di manganelli disposti a raggiera in cui l’essenzialità della forma geometrica circolare contrasta la brutalità delle armi. Il posizionamento dei manganelli in maniera circolare conferisce una sorta di “esteticizzazione” della violenza, attribuendo all’opera ironia e umorismo. Concepito durante le sommosse politiche precedenti le elezioni sudafricane del 1994, il lavoro fa riferimento ai metodi di repressione utilizzati dalla polizia e agli abusi autorizzati dal governo locale che, in quell’occasione, causarono migliaia di morti. Durante le elezioni sudafricane del 1994, le prime aperte a tutta la popolazione, Nelson Mandela divenne il primo presidente nero della storia del paese. Diretta e priva di filtri l’opera colpisce per la sua violenza e determina nello spettatore un iniziale disagio, una sensazione di pericolo e destabilizzazione. Foto © Musacchio & Ianniello

BOUCHRA KHALILI
Foreign Office, 2015

Fotografie, serigrafia, video 22’ Courtesy l’artista e Galerie Polaris, Parigi Commissionato per Sam Art Prize, Parigi

Con questo lavoro l’artista torna sul decennio 1962-72 quando Algeri diventò “la capitale dei rivoluzionari” dopo ’indipendenza del paese. La città accolse numerosi militanti dei movimenti di liberazione da tutto il mondo, come la Sezione Internazionale del Black Panther Party di Eldridge Cleaver, l’ANC di Nelson Mandela o il PAIGC (Partito Africano per l’Indipendenza della Guinea e di Capo Verde) di Amilcar Cabral. Prendendo come punto di partenza questo frammento di storia algerina, la cui trasmissione disarticolata e mitizzata lo ha relegato al passato, il film mette in scena due giovani che raccontano questa storia, cercando le ragioni del suo oblio nella contemporaneità. Le dodici fotografie selezionate per la mostra presentano alcuni dei luoghi che hanno ospitato i movimenti di liberazione, inserendoli nella topografia contemporanea della città. L’artista propone una lettura retrospettiva e attuale di un’eredità collettiva e una riflessione sulle modalità di trasmissione della “Storia”, interrogandosi sugli elementi che la compongono, le potenzialità narrative e la sua risonanza nel presente. Foto © Musacchio & IannielloFotografie, serigrafia, video 22’ Courtesy l’artista e Galerie Polaris, Parigi Commissionato per Sam Art Prize, Parigi Con questo lavoro l’artista torna sul decennio 1962-72 quando Algeri diventò “la capitale dei rivoluzionari” dopo ’indipendenza del paese. La città accolse numerosi militanti dei movimenti di liberazione da tutto il mondo, come la Sezione Internazionale del Black Panther Party di Eldridge Cleaver, l’ANC di Nelson Mandela o il PAIGC (Partito Africano per l’Indipendenza della Guinea e di Capo Verde) di Amilcar Cabral. Prendendo come punto di partenza questo frammento di storia algerina, la cui trasmissione disarticolata e mitizzata lo ha relegato al passato, il film mette in scena due giovani che raccontano questa storia, cercando le ragioni del suo oblio nella contemporaneità. Le dodici fotografie selezionate per la mostra presentano alcuni dei luoghi che hanno ospitato i movimenti di liberazione, inserendoli nella topografia contemporanea della città. L’artista propone una lettura retrospettiva e attuale di un’eredità collettiva e una riflessione sulle modalità di trasmissione della “Storia”, interrogandosi sugli elementi che la compongono, le potenzialità narrative e la sua risonanza nel presente. Foto © Musacchio & Ianniello

NINA FISCHER & MAROAN EL SANI
Freedom of Movement, 2017

Commissionato e coprodotto da MAXXI Con il sostegno di Medienboard Berlin-Brandenburg Supporto alla produzione: Galerie Eigen+Art, Berlino/Leipzig e Galleria Marie-Laure Fleisch, Roma/Brussels Si ringrazia Liberi Nantes, Emmaus School di Maenza e FENDI Con il contributo tecnico di Istituto Luce Collezione MAXXI Architettura

Al confine tra video-installazione, ricerca e fotografia, il lavoro Freedom of movement, di Nina Fischer (1965) e Maroan el Sani (1966), co-prodotto con il MAXXI, consente agli artisti di continuare la loro indagine sulle condizioni più estreme del rapporto tra spazio architettonico e spazio umano. Frutto di una commissione del museo, il progetto trova una collocazione ideale nella collezione di architettura del MAXXI, incline a indagare i confini dei linguaggi architettonici e le sue relazioni con le forme visive dell’espressione artistica. Mentre collaborano con le comunità di “nuovi residenti” Fischer & el Sani scavano negli archivi e riportano alla luce le immagini “scalze” di Abebe Bikila, primo atleta africano a vincere la medaglia d’oro olimpica. Rivelano quindi i legami inconsci tra le immagini di Roma ’60 e quelle dei rifugiati e dei migranti di oggi, che corrono anch’essi a piedi nudi tra i monumenti – in questo caso soprattutto “moderni” – della città. Reclamano il loro diritto alla “libertà di movimento”, intesa in senso sportivo, ma anche come possibilità di trovare il loro spazio in un altro paese, di ricominciare a vivere, di esprimersi attraverso lo sport e quindi attraverso la cultura. Lo splendido coro di voci bianche della Emmaus School di Maenza si muove negli spazi del Palazzo della Civiltà e del Lavoro dà forma a questa cultura, e intona una rivisitazione della famosa frase scolpita sulla facciata dell’ edificio. Foto © Emanuele MancoCommissionato e coprodotto da MAXXI Con il sostegno di Medienboard Berlin-Brandenburg Supporto alla produzione: Galerie Eigen+Art, Berlino/Leipzig e Galleria Marie-Laure Fleisch, Roma/Brussels Si ringrazia Liberi Nantes, Emmaus School di Maenza e FENDI Con il contributo tecnico di Istituto Luce Collezione MAXXI Architettura Al confine tra video-installazione, ricerca e fotografia, il lavoro Freedom of movement, di Nina Fischer (1965) e Maroan el Sani (1966), co-prodotto con il MAXXI, consente agli artisti di continuare la loro indagine sulle condizioni più estreme del rapporto tra spazio architettonico e spazio umano. Frutto di una commissione del museo, il progetto trova una collocazione ideale nella collezione di architettura del MAXXI, incline a indagare i confini dei linguaggi architettonici e le sue relazioni con le forme visive dell’espressione artistica. Mentre collaborano con le comunità di “nuovi residenti” Fischer & el Sani scavano negli archivi e riportano alla luce le immagini “scalze” di Abebe Bikila, primo atleta africano a vincere la medaglia d’oro olimpica. Rivelano quindi i legami inconsci tra le immagini di Roma ’60 e quelle dei rifugiati e dei migranti di oggi, che corrono anch’essi a piedi nudi tra i monumenti – in questo caso soprattutto “moderni” – della città. Reclamano il loro diritto alla “libertà di movimento”, intesa in senso sportivo, ma anche come possibilità di trovare il loro spazio in un altro paese, di ricominciare a vivere, di esprimersi attraverso lo sport e quindi attraverso la cultura. Lo splendido coro di voci bianche della Emmaus School di Maenza si muove negli spazi del Palazzo della Civiltà e del Lavoro dà forma a questa cultura, e intona una rivisitazione della famosa frase scolpita sulla facciata dell’ edificio. Foto © Emanuele Manco

KILUANJI KIA HENDA
Le Merchand de Venise, 2010

Stampa digitale su carta da parati Il ritratto fotografico è un omaggio all’opera teatrale di William Shakespeare. La figura maschile, fotografata all’interno dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti di Venezia, appartiene a un musicista senegalese costretto ad accettare qualsiasi lavoro gli venga proposto per poter sopravvivere. Henda si misura con il passato coloniale del continente africano in modo ironico, sfidando i concetti di identità, politica e modernità: Le Merchand de Venise trasforma in eroi shakespeariani i venditori ambulanti africani che popolano i luoghi turistici di tutta Europa. Foto © Musacchio & IannelloStampa digitale su carta da parati Il ritratto fotografico è un omaggio all’opera teatrale di William Shakespeare. La figura maschile, fotografata all’interno dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti di Venezia, appartiene a un musicista senegalese costretto ad accettare qualsiasi lavoro gli venga proposto per poter sopravvivere. Henda si misura con il passato coloniale del continente africano in modo ironico, sfidando i concetti di identità, politica e modernità: Le Merchand de Venise trasforma in eroi shakespeariani i venditori ambulanti africani che popolano i luoghi turistici di tutta Europa. Foto © Musacchio & Iannello

SARAH WAISWA
Ballet in Kibera (series), 2017

Diaporama
Courtesy l’artista

In questa serie fotografica, l’artista presenta la sua visione di una possibile nuova identità africa- na. La danza ha giocato un ruolo fondamentale nella cultura del continente africano: vista non come semplice forma di intrattenimento, è nota per aver segnato riti di passaggio. Poiché le lezioni di danza classica sono estremamente costose, la disciplina è spesso associata al privilegio e al potere che ne deriva. L’artista ha dichiarato: “Volevo catturare la condizione a metà strada tra immaginazione e realtà in assenza di barriere sociali, confondendo i confini tra pubblico e performer”.

Foto © Luis Do Rosario

JOHN AKOMFRAH
Peripeteia, 2012

Video HD, colore, suono 18’12’’
© Smoking Dogs Films, courtesy Lisson Gallery

In questo video John Akomfrah dà vita a due figure che appaiono nei disegni dell’artista rinascimentale tedesco Albrecht Dürer, Head of a Negro Man (1508) e The Moorish Woman Katharina (1520): i due disegni sono considerati fra le prime rappresentazioni di persone di origine africana nella cultura figurativa occidentale. Akomfrah immagina le loro azioni dando concretezza a queste due figure, altrimenti perse nella storia: tempi e luoghi si sovrappongono in una struttura narrativa non lineare, elementi pittorici, letterari, storici e di archivio si intrecciano generando un vero e proprio collage. L’artista sviluppa così un linguaggio che investiga il trauma e il senso di alienazione di soggetti costretti a spostarsi o emigrare, fornendo loro una voce e una presenza fisica, reale. I film di Akomfrah nascono da un intreccio di documentazione di archivio e narrazioni immaginarie, creando delle vere e proprie esperienze visive che riescono ad allontanarsi da semplici narrazioni retoriche legate al risentimento, per proporre nuove prospettive e punti di vista inediti.

Foto © still da video

YINKA SHONIBARE
Invisible Man, 2018

Manichino in vetroresina, cotone stampato a cera olandese, scarpe di pelle, base di acciaio
cm 175 x 73 x 100
Donazione dell’artista e Blain | Southern

Approfondendo le riflessioni su razza e ceto sociale, Invisible Man è un’opera realizzata ispirando- si al ritratto della famiglia del missionario Quarantotti, dipinto da Marco Benefial nel 1756 e oggi conservato nella collezione delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini. La scultura di Yinka Shonibare MBE – prodotta per la mostra Eco e Narciso. Ritratto e Autoritratto nelle collezioni
del MAXXI e delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini tenutasi a Palazzo Barberini nel 2018 – rap- presenta un lacchè che, da umile domestico, avrebbe potuto essere a servizio nella casa della famiglia Quarantotti. La figura trasporta un pesante fardello sulla schiena, un sacco pieno di utensili e vettovaglie; i suoi vestiti settecenteschi sono realizzati con pattern batik, tessuti di origine africana ma da più di un secolo prodotti nei Paesi Bassi, caratteristici di Shonibare MBE perché metafora dei movimenti migratori e delle relazioni globali. Per la testa del personaggio, l’artista ha utilizzato una mappa astrologica in cui i nomi delle costellazioni sono stati sostituiti da quelli dei palazzi nobiliari di Roma e del Lazio. Nell’opera l’attenzione dell’osservatore si scosta quindi dalla celebrazione della nobiltà per posarsi invece sul non visibile.

Foto © Musacchio & Ianniello

ROBIN RHODE
A Day in May, 2013

16:9, animazione digitale 3’15”
Courtesy l’artista e kamel mennour, Paris/London

Robin Rhode si considera «un artista contemporaneo che ha radici nella strada, e che adotta la mentalità della strada». Ispirata alla festa dei lavoratori celebrata il Primo maggio, l’animazione digitale A Day in May propone l’interazione fra immagini filmate e disegni a parete caratteristica del linguaggio dell’artista. Un manifestante, con in pugno la bandiera nera simbolo di anarchia e antagonismo, avanza ostacolato da gigantesche mollette da bucato che ne interrompono la marcia, riportandolo continuamente indietro. Per l’autore è «la vita domestica che arresta il suo fervo- re rivoluzionario e lo mette ad asciugare». La tensione fra questi due movimenti si risolve in un ritorno «a un senso di sé, e a un senso di casa».

Foto © still da video