In ricordo di Stefano Rodotà
Due mesi fa chiamai Stefano Rodotà per chiedergli una “lectio magistralis”, qui al MAXXI, a conclusione della mostra Please Come Back, in cui parlavamo di carcere come metafora del mondo moderno e di “società del controllo globale”. Sapevo che non stava bene: l’avevo incontrato l’ultima volta prima del referendum costituzionale di dicembre; era stanco, ma sempre saggio, sereno, disponibile. E così, quando gli chiedemmo un’altra fatica, non mi disse di no: ipotizzammo una data, mi chiese di pazientare un po’, rinviammo una volta e un’altra ancora, a causa dei suoi malanni, ma sempre con la promessa di trovare il momento giusto. Non abbiamo avuto il tempo.
Lo conoscevo da sempre: mi ero laureato con lui, e poi mi chiese se avevo voglia di collaborare, prima all’università e poi alla Camera dei Deputati, con la Sinistra indipendente. Da lui ho imparato che la passione politica e il rigore giuridico non debbono mai divaricarsi, non bisogna scegliere tra l’una e l’altro. Ero nella sua aula di lezione quando ci giunse la notizia del rapimento di Aldo Moro e della strage di via Fani, e anche in quella terribile stagione ci aiutò a capire che la difesa senza esitazioni delle istituzioni democratiche (quando a sinistra c’era chi predicava la folle equidistanza del “nè con lo Stato né con le BR”) non ci doveva impedire di denunciare il marcio e le tentazioni autoritarie che si annidavano in tanti apparati pubblici. Ci insegnò che “la democrazia si difende con la democrazia”, e ha continuato a farlo fino alla fine. Non era obbligatorio essere d’accordo con lui (e a me è capitato più volte di avere posizioni diverse) per sapere che della sua saggezza, della sua competenza e del suo rigore non potevamo fare a meno.
Grazie, professore.
Pietro Barrera, Segretario Generale Fondazione MAXXI